Ma è il sistema che congiura contro l'agente della riscossione. E prima di tutto il tempo. La prima comunicazione di irregolarità dal fisco al contribuente arriva almeno dopo tre anni. Se non si paga, come avviene spesso, si procede all’iscrizione a ruolo. Per la notifica della cartella passa un altro anno e intanto molte attività, soprattutto commerciali, sono svanite insieme ai debiti fiscali e agli incassi Iva. Trascorsi i termini di legge inizia la ricerca dei beni da aggredire sulle banche dati, ma non tutto è pignorabile, come l’abitazione principale e le automobili non intestate e in leasing. Le altre al massimo rischiano un fermo amministrativo. Finito questo giro il nostro bravo e volenteroso agente del fisco può tentare il pignoramento verso terzi, cioè canoni e stipendi. Sulle pensioni si può fare ben poco. Per trattenere una parte dello stipendio si deve presentare al sostituto d’imposta e prelevare, ma solo un quinto. L’attività di riscossione può funzionare molto di più nei confronti di qualcuno che ha un grosso patrimonio e molte fonti reddituali, un soggetto del tutto ideale, per il nostro funzionario delle Entrate. Ma se sei socio, come una parte sempre maggiore di operatori, di una società a responsabilità limitata, agli occhi del fisco ti trasformi per legge in una persona fisica che non ha niente di intestato e gode al massimo di un reddituccio di sopravvivenza. La rincorsa all’ambito status di “socio di capitali” è confermato dai trend degli ultimi anni registrati all’anagrafe delle imprese. Secondo i dati dell’Anagrafe Tributaria, il numero di imprese individuali è diminuito da 3,7 milioni nell’anno 1993 a 1,6 nel 2017, mentre il numero delle società di capitali è costantemente salito, passando da 626 mila nel 1993 a 1,2 milioni nel 2017, di cui l’89,1 per cento erano Srl. Le ultime rilevazioni ci dicono che l’aggregato delle srl ha ormai superato 1,7 milioni di soggetti a fronte di 3,1 milioni di imprese individuali (a loro volta, in buona parte in regime forfetario).
Si deve concludere che gli unici che hanno una visibilità fiscale sono i dipendenti e che nella catena dei possibili creditori lo stato è l’anello più debole. La minaccia della sanzione pecuniaria, come sottolineano gli esperti della Corte dei Conti, evidentemente non funziona. Meglio puntare all’applicazione di sanzioni accessorie, come la chiusura dell’esercizio commerciale e l’interdizione degli amministratori delle società, anche se difficilmente applicabili per il gran numero di segnalazioni alle Camere di commercio e alle banche da effettuare per renderle veramente efficaci.
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